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oggi è un bel giorno per morire

22 ottobre 2012

liberi


8 giorni 405 kilometri

Si è rotta la moto..strade impossibili…state forse male…ma cosa è successo?!!
Niente di tutto questo, è successo che tornando in strada abbiamo ripreso il nostro ritmo, il nostro tempo.
Respiriamo, osserviamo, viviamo e godiamo l’attimo, viviamo il viaggio.
Siamo felici quando ci perdiamo e quando non sappiamo dove siamo ci sentiamo a casa.
E qua, fuori dalla città tutto è diverso, la gente è diversa. Siamo ritornati a parlare mimando con i gesti, quasi nessuno parla inglese. C’è la curiosità, la paura e la simpatica vergogna della gente che dapprima un poco si nasconde, a volte soltanto il  viso con la mano poi, poi ci sono i sorrisi e le tante risate quando non ci si capisce, c’è la tranquillità.

Venerdì 12 caricata la moto lasciamo la guest house direzione Nagarkot, non sono molti i kilometri ma ce li godiamo tutti, ci siamo anche concessi senza volerlo una deviazione in un sentiero off road davvero tosto.­
Arrivati sino alla torre a quota 2158 metri abbiamo visto quello che le nuvole ci lasciavano a tratti intravedere della catena dell’Himalaya. Dopo un caffè, noi speravamo in un autentico caffè invece ci rifilano un liofilizzato stantio, in un chiosco sul piazzale cerchiamo un posto sotto la torre dove piazzare la tenda per essere puntuali domani all'alba sperando che le nuvole ci concedano un poco di vista. 
Il primo bivacco dopo tanti giorni di città, non ha prezzo.







Sveglia alle 4,30 siamo i primi ad arrivare su alla torre, promette male, è nuvoloso. Alle 5 arriva la prima turista, è cinese, mi dice: What’s this? Abbastanza incazzata. Eh sono nuvole, non ne ho colpa io, siediti e mangia la tua banana, la tipa aveva un sacchettino e si poteva intravedere una mela e una banana, però, sembra aver capito perchè si siede mangia la sua banana e va via brontolando.

Presto la torre si riempie di turisti ansiosi di poter immortalare sul supporto digitale delle loro fotocamere il sorgere del sole dietro la cima delle montagne. E la giù, proprio dove nasce il sole dicono che da qui si intraveda la vetta dell’Everest.  Non oggi però. 


Lasciamo la torre infreddoliti e affamati e rientriamo in tenda ad aspettare che il sole ci scaldi, poi dopo colazione impacchettiamo tutto e ritorniamo verso Kathmandù,  facendo una strada alternativa indicataci da Mauro, un bellissimo e facile sterrato.
Primo incontro prime differenze, lo sterrato che sale su per un costone, una manciata di casette e 4 bambine sedute a terra sul bordo strada.  
  Ci fermiamo, stavano facendo i compiti d’inglese, subito una si volta e alzando quello che ne rimane ci chiede avete una matita.
E  no, non abbiamo matite, ma gli regaliamo una penna tre colori, loro però, si nota,  avrebbero preferito la matita.   Che strano, in città i bimbi si avvicinano solo per chiederti soldi.
Gli incontri proseguano con i contadini che ci invitano a sbattere le spighe di riso, la gentilezza delle donne alla fonte dove ho caricato l’acqua, e ora qua accampati su un campetto da calcio, ma lo sapremo dopo, non ne aveva minimamente l’aspetto, un gruppo di bambini e dopo anche gli adulti ci tengono compagnia.  Riceviamo anche un invito a cena e a colazione. La mattina con il più grande di questi ragazzi vado al paese vicino a comprare un pallone da calcio, loro giocavano con delle radici d’erba arrotolate tra loro, e glielo regaliamo.










Facciamo visita alla nonna alla zia e alla cugina di questo ragazzo, poi di nuovo in marcia che sono già le 11. Sulla strada incrociamo una coppia di motociclisti tedeschi, precisini  fighetti  loro, e avete capito già su che moto viaggiavano.
Pranziamo cibo nepalese super piccante in una baracca sulla strada, facciamo provviste e proseguiamo, alle 4 ci fermiamo.  
  Montato il campo e shizu prepara la cena, abbiamo patate e carote, fammi un po’ vedere cosa riesco a trovare, un rapido giro nei dintorni e…che bei fagiolini, che con le patate si sposano a meraviglia.

Oggi  pensiamo di arrivare Pokhara, tutti ne parlano bene e allora andiamo a vedere.
Arriviamo a Pokhara ma non ci fermiamo, è presto sono appena le 10, proseguiamo per il lago Phewa  che dicono essere bello.
La strada che costeggia il lago è un susseguirsi di guest house, noi proseguiamo anche quando l’asfalto finisce, un paio di guadi e arriviamo sino alla fine della strada, in una località chiamata Ghatchhina.
Qua non c’è niente, un paio di ristoranti che forse fanno anche pensione, ma a noi non interessa. Torniamo indietro un paio di kilometri e piazziamo la tenda su un isolotto in mezzo al fiume, ora l’acqua è bassa, in un punto dove il fiume formava una bella piscina. Noi pensavamo di aver trovato un posto tranquillo invece tutti i bambini vengono a fare il bagno dopo la scuola e le donne si lavano e lavano i panni, alla fine però anche se la confusione è stata enorme ci siamo divertiti.










La mattina andiamo a vedere Pokhara, volevamo fermarci un paio di giorni, ma… abbiamo l’allergia a questo tipo di città, super turistica, qua si fa il rafting si vola con paracadute si fa casino nei locali la sera, si sta seduti il pomeriggio sul lungo lago a bere birra, no no gente non ci attira per niente.
Facciamo il pieno alla moto compriamo il cibo e ce ne andiamo.
Libertà non c’è niente di più profumato.
Non sappiamo dove siamo, non sono ancora le 2 ma un “ponte tibetano” attira la nostra attenzione. Ci fermiamo e vediamo giù sotto un bel posto per mettere la tenda, non sembra molto facile da raggiunge ma … lo sapete, a noi ci piacciono le sfide.

Via si scende giù per il ripido discesone poi curva a sinistra piccolo dosso un po’ di fango e -crasch bum crasck-..non ci passiamo, incastrati tra due rocce. Smontiamo le valige e tira di qua tira di la riusciamo a toglierci dai guai, ancora poche decine di metri ed eccolo qua il  nostro posticino perfetto.  
L’acqua non manca, ci sono anche i pesci ma della pesca nei fiumi non sono molto pratico.
Abbiamo cibo per tre giorni, deciso si sta qua e poi dai, dopo la sudata  fatta per arrivarci ci vuole un po’ di riposo.

Siamo qua sul fiume da tre giorni, sul ponte tibetano tutti i giorni passano le stesse persone. La mattina 4 donne e due bambine trasportando enormi ceste sulla testa, poi un simpatico vecchietto che va avanti e indietro con cadenza regolare di 45 minuti per tutto il giorno sino alle 5 di sera trasportando sulle spalle dei mezzi tronchi d’albero e nonostante il peso e la fatica quando ci incrocia ci saluta sempre. Anche le donne rientrano a quell’ora e ci salutano da lontano. Un pescatore tutte le sere, verso le 5, butta 4 pezzi di rete  in punti strategici del fiume e poi la mattina alle prime luci viene a prendere il bottino.


  








In questi giorni a parte osservare passeggiate nuotare nelle frescoline acque del fiume, io mi sono dedicato anche al lavoro artistico, che ve ne pare…un bel taglio vero.


 Qua stiamo bene ma come ho detto il cibo è finito domani si ritorna in strada, andiamo a Baglung.